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VILLA CHINI RIAPERTA A BORGO SAN LORENZO: un po’ di soluzionimuseali-ims anche qui

Il 6 aprile scorso ha riaperto al pubblico il museo di Villa Chini, un affascinante complesso neorinascimentale nel territorio del Mugello, a Borgo San Lorenzo, qualche decina di chilometri da Firenze. 

Le ceramiche di Galileo Chini, (Firenze, 1873 – 1956) artista poliedrico, portavoce dell’artigianato italiano all’estero e propulsore in Italia di uno stile “orientale”, hanno trovato una adeguata valorizzazione in sei vetrine ad isola di grandi dimensioni prodotte da soluzionimuseali-ims. 

Alcune delle vetrine

Street Art nei musei

Anche i meno attenti fra i nostri concittadini milanesi sapranno che fino al 12 aprile si é svolta presso il Mudec-Museo delle Culture la mostra “Banksy – A visual protest”, l’ultima in una serie di grandi mostre internazionali che stanno portando la street art all’interno dei musei.
In molti avranno infatti notato i manifesti pubblicitari raffiguranti il famigerato “Lanciatore di fiori” che il Mudec ha diffuso per strade e metropolitana. Proprio questa campagna pubblicitaria è stata recentemente al centro di un contenzioso perché Pest Control Office Limited, la società che si occupa di gestire il brand Banksy, ha citato in giudizio 24 Ore Cultura per violazione di Copyright e vendita non autorizzata di merchandising.

Non è questo un evento eccezionale: non è infatti la prima volta che Banksy fa cause a mostre non autorizzate come quella del Mudec. Sul suo stesso sito è presente una sezione in cui sono elencate tutte le mostre “FAKE”, realizzate senza il coinvolgimento – e il permesso – dell’artista.

Screenshot da www.bansky.co.uk

Diverse persone hanno fatto notare l’incongruenza, da parte di un’artista da sempre contro il copyright, dell’utilizzo di questo stesso sistema per monitorare la diffusione delle sue opere.

E lo stesso Banksy è consapevole di questo aspetto: in una chat privata, successivamente pubblicata su Instagram, commenta di non essere la persona adatta a lamentarsi di chi utilizza immagini senza chiedere permesso (“not sure i’m the best person to complain about people putting up pictures without getting permission”).

Non è difficile immaginare come queste azioni legali abbiano soprattutto l’obiettivo di segnalare la distanza dell’artista da queste mostre piuttosto che ottenere vere limitazioni o chiusure. Come molte delle azioni di Banksy, il loro aspetto simbolico e sensazionalistico è da prendere in considerazione tanto quanto i loro contenuti ed effetti.
Sorgono dei quesiti ovvi a seguito di questo episodio: chi abbia diritto ad utilizzare le immagini, o la congruenza delle azioni di Banksy. Ma la posizione ideologica che ha spinto Banksy a rifiutare la commercializzazione della sua arte è facilmente ricollegabile alle radici più profonde della street art. E la questione che vogliamo porre anche a voi riguarda proprio il rapporto fra arte di strada, musei e mondo dell’arte in generale.

Caratteristica principale della street art è infatti primariamente la sua collocazione, in alcuni casi più caratterizzante, per l’interpretazione dell’opera, dei contenuti stessi. La scelta della collocazione avviene sia per ragioni di opportunità che per ragioni ideologiche: la street art prende infatti spesso una posizione volutamente anti-istituzionale, a cui si unisce l’aspetto egalitario dato dal trovarsi sulla strada, in una posizione accessibile a tutti e nei luoghi più lontani dal potere.

La street art è quindi un’arte senza proprietari, senza curatela e senza conservazione. Ma soprattutto un’arte senza committenti, e un’arte – di fatto – illegale.

Dato questo, sorgono dubbi rispetto al posto che l’arte di strada può avere all’interno dei musei. È possibile per la street art trovare uno spazio in questi contesti, o così facendo perde completamente di significato? La sua collocazione – e la sua posizione anti istituzionale – sono imprescindibili, o si può negoziare una via di mezzo?

Il rapporto fra street art e musei non è una novità. Arte di strada e graffiti art hanno trovato uno spazio all’interno dell’arte contemporanea, anche soltanto attraverso la commistione di tecniche e linguaggi (basti pensare ad artisti come Keith Hering).  E in diverse occasioni artisti di strada hanno collaborato con musei e altre istituzioni.

“Street Art”, Tate Modern, 2008

Fra gli esempi più recenti il più importante è forse la mostra “Street Art” che si è svolta presso la Tate Modern di Londra nel 2008, in occasione della quale ai diversi artisti coinvolti è stato chiesto di realizzare opere sulla facciata esterna del museo – già una forma di compromesso fra l’arte di strada e le istituzioni museali.

Faile, fra gli artisti coinvolti nell’esposizione, rispetto a questo nuovo rapporto fra arte e musei aveva dichiarato che “At least it’s no longer undermined as something on the street, something without value. Money fuels interest (…)” Per molti artisti il rapporto con i musei, e una validazione da parte del mondo dell’arte, è infatti strettamente collegato con il rapporto con gallerie, collezionisti e quindi con il denaro. Questo è un altro degli aspetti che rende complicati, e apparentemente irriconciliabili, i rapporti fra questi due mondi. Come molti altri artisti, lo stesso Banksy ha negoziato il suo rapporto con il mercato dell’arte, vendendo le sue opere solo in aste i cui ricavi vadano in beneficenza – o per 60$ a Central Park, nel corso di un’altra azione ad effetto. Ben Eine, street artist connazionale di Banksy, si identifica invece pubblicamente come un “working street artist” che accompagna, ai lavori fatti per strada, lavori nello “stile dello street art” che vengono venduti in gallerie e grazie a cui ricava fondi per finanziare i lavori fatti in strada.

Ma l’ingresso della street art nei sistemi convenzionali – e istituzionali- di diffusione dell’arte sembra in ogni caso inevitabile: i tentativi di Banksy – pratici o simbolici- di estraniarsi da questo sistema fanno poco per fermare il fiume in piena che è il Banksy effect – lo pseudonimo di un artista anonimo e controcorrente è anche un brand che vale milioni di dollari.

MrSavethewall_Street Art is Dead
Immagine da Deodato Gallery, rilevata da questo interessante articolo: “Street Art is dead: Mr. Savethewall decapita Bansky”

Non mancano però grida alla “morte della street art”.  Lo street artist italiano Mr. Savethewall ha lavorato sui manifesti della mostra del Mudec aggiungendo una riproduzione di “Davide con la testa di Golia”  di Caravaggio (in cui Golia indossa la maschera da scimmia di Banksy) accompagnato alla scritta “street art without street is just “art”!”

Va però preso in considerazione il terzo elemento in questa dinamica museo-artisti: il pubblico. La street art nei musei può essere un momento di validazione per l’artista, o qualcosa che avviene suo malgrado. Ma una nuova collocazione cambia fondamentalmente le modalità con cui il pubblico si relaziona all’arte.

Abbiamo già detto come la vicinanza al pubblico e l’assenza di una distanza – sia fisica che psicologica – siano fra gli elementi essenziali della street art. Trovandosi nel luogo pubblico per eccellenza è capace di avvicinarsi a chiunque, senza filtri, raggiungendo anche coloro che non cercherebbero intenzionalmente l’arte e comunicando con un pubblico estremamente più ampio di quello che frequenta i musei.

Portare la street art nei musei crea inevitabilmente un filtro, che anche in assenza di una bigliettazione è comunque costituito dal senso di intimidazione che i musei possono suscitare su chi non è abituato a frequentarli.


Sembra difficile escludere completamente la street art, così pervasiva e rilevante nel panorama contemporaneo, dal mondo che i musei dovrebbero studiare e raccontare.  E l’appeal della street art è qualcosa che molti musei hanno usato per cercare di attirare nuovo audience: è indubbio che la street art venga esposta per avvicinare nuovo pubblico ai musei, grazie anche alla sua forte capacità di parlare alla gente. Il risultato è il grande pubblico che si avvicina a queste esposizioni. Resta però da chiedersi chi sia veramente questo pubblico: si mantiene la democratizzazione tipica della street art?

Il rapporto fra musei e street art può essere visto come una questione di compromessi e ideologie irriconciliabili, o come una sfida i cui obiettivi sono trovare modalità innovative per conciliare l’arte dentro i musei e quella sulla strada. E per l’artista rimane la scelta fra essere completamente “libero” o realizzare delle opere diverse, collaborazioni ragionate o più meditative.

Piuttosto che semplicemente avvicinarsi alla street art riproponendola in una dimensione che, anche nei migliori tentativi, la sterilizza da parte del suo apporto creativo più caratteristico, una strada diversa per i musei potrebbe essere cercare di coglierne lo spirito. La street art infatti può insegnare molto sulla trasgressione, l’impegno politico e la condivisione dello spazio artistico con il pubblico.

I musei a loro volta potrebbero quindi riflettere su questo aspetto, non solo per rispettare gli scopi e le origini della street art, ma anche per capire come meglio comunicarla ai loro visitatori.

Leggere Corrente: Casa Museo Boschi di Stefano

 

Il 5 dicembre 2018 la Casa Museo Boschi Di Stefano, in occasione dell’ottantesimo anniversario della fondazione della rivista Corrente,  ha presentato la mostra Leggere Corrente, di cui noi di soluzionimuseali-ims abbiamo realizzato l’allestimento progettato dallo studio dell’architetta Cristiana Vannini (quasi omonima di Cristina Vannini… i casi della vita!)

Alla soglia degli anni Quaranta, Antonio Boschi e Marieda Di Stefano, sensibili ai valori espressi da Corrente, acquistarono dipinti, grafiche e sculture degli artisti che presero parte, nel 1939, alla prima e alla seconda mostra del movimento.

Le opere esposte, provenienti dai depositi dei musei civici milanesi, rappresentano una selezione significativa, che mira a restituire la complessità di voci e il fronte espressivo ampio e variegato che animò il gruppo.

La mostra, visitabile fino 3 marzo 2019, al  si affianca alle esposizioni 40 anni di cultura a Milano negli archivi della Fondazione Corrente presso Fondazione CorrenteGli anni di Corrente 1938-1978-2018 alla Biblioteca Sormani Corrente 1938 al Museo del Novecento.

 

 

 

ARCHITETTURE DEGLI ANNI ’30 IN MOSTRA PER LA DESIGN WEEK

In occasione della Milan Design Week, MonteNapoleone District è diventato “Quadrilatero del design” con una installazione di Studio Job che interviene sulla splendida facciata razionalista dello storico Garage Traversi di via Bagutta 2 e con la mostra a cielo aperto dal titolo “Mi[x(xx)]ing Architecture – Milano: radici e sintomi della città moderna” dedicata alle architetture degli anni trenta sorte durante il periodo in cui fu costruito anche il Garage Traversi. La mostra curata da Alessandro Cocchieri pone l’attenzione su alcuni edifici identificativi degli anni ’30 di Emilio Lancia, Gio Ponti, Giuseppe De Min, Piero Portaluppi, Luigi Figini, Gino Pollini, Giuseppe Terragni, Giovanni Muzio, Alessandro Rimini e Pietro Lingeri. Accompagnate da opere grafiche dello Studio Job, lungo via Montenapoleone si sono potute scoprire dieci vedute prospettiche fotografate dalla giovane fotografa Alice B. che di seguito ci racconta come ha affrontato il progetto fotografico.

Altri riferimenti : milanocittàimmaginata.it mostra online di soluzionimuseali-ims per il CASVA di Milano

Approcciarsi alla fotografia architettonica significa presentare un edificio nel suo insieme e nel suo contesto, mettendo in risalto le fasi che l’architetto ha dovuto affrontare durante la progettazione per evidenziarne la bellezza della costruzione.

L’intenzione era di documentare attraverso la fotografia l’architettura degli anni ’30.

Anche se apparentemente indipendenti l’una dall’altra, le due arti, fotografia e architettura, sono strettamente legate da elementi che alimentano entrambe come la luce, lo spazio, la prospettiva e il colore.

Per poter aver una buona fotografia bisogna conoscere l’edificio sotto ogni aspetto e da ogni punto di vista. In questo senso ci sono state complicazioni dovute all’impossibilità di avere accesso a luoghi che ci avrebbero permesso una visuale ottimale. Questo limite, però, si è rilevato un punto a favore dal momento che ha permesso di acquisire immagini da angolazioni non scontate ma che sono visibili a chiunque: le fotografie effettuate sono quindi una “guida allo sguardo”, un’indicazione di come osservare con occhio nuovo gli edifici selezionati. Anche un altro aspetto critico si è tramutato in un atout.
Avendo dovuto organizzare il percorso degli scatti in una finestra temporale ridotta, si sono dovute sfruttare attentamente le condizioni meteo che si alternavano nell’arco della giornata per avere la luce migliore ad esaltare il soggetto.
Le giornate nuvolose sono quindi state l’ideale: in questo modo infatti si evitano facilmente ombre che colpiscono l’edificio e ne confondono le forme e i dettagli. La post-produzione, a sua volta, ha aiutato a rimuovere tutti quegli elementi che disturbavano l’immagine come persone, pali e segnaletica, apportando leggere modifiche di “rattoppo” che aiutano l’osservatore a godere della pura visione globale dell’edificio attraverso la fotografia.

Infine, la scelta di realizzare le immagini in bianco e nero piuttosto che a colori è dovuto alla volontà di enfatizzare le linee e le forme delle strutture, così caratteristiche e fondamentali per l’architettura del periodo prescelto.

IL MUSEO BAGATTI-VALSECCHI OSPITA LA MOSTRA DI ORHAN PAMUK

Ventinove misteriose teche provenienti da Istanbul. Una drammatica storia d’amore. Una stupenda ispirazione.
Non stiamo parlando di una nuova serie targata Netflix, ma dell’esposizione in mostra al Museo Bagatti-Valsecchi di Milano: “Amore, Musei e Ispirazione”, che trasporta il Museo dell’Innocenza del premio Nobel Orhan Pamuk da un distretto di antiquariato stambuliota al lussureggiante quartiere meneghino di Via Montenapoleone.
La storia che racconta il Museo dell’Innocenza, vincitore dell’EMYA 2014, non descrive grandi personalità artistiche o importanti vicende storiche, bensì narra la tormentata vicenda d’amore tra Kemal Basmaci, alterego di Pamuk, e la sua amante Füsun.

Come convergere sentimenti, sensazioni e ricordi di un vissuto intimo e personale in una trasposizione fisica e concreta? La soluzione adottata da Pamuk è stata quella di raccogliere oggetti di ogni tipo facendoli diventare parte integrante del racconto.
L’esperimento dà vita a una collezione evocativa e inusuale, che non solo si intreccia con la trama del romanzo ma diventa un modo per esprimere una nuova concezione di museo, il quale, secondo l’autore, dovrebbe essere “un luogo in cui il tempo si trasforma in spazio” per avvicinarsi all’umanità degli individui.

La scelta di ospitare la mostra al Bagatti Valsecchi, museo citato anche nel libro, non è un caso ma rientra nella la filosofia racchiusa nel “Modesto manifesto per i musei” di Pamuk, presentato nell’ultima sala della mostra.
Pamuk si fa portatore di un ideale che vede le enormi potenzialità dei piccoli musei, intesi come rappresentazione profonda della quotidianità e dei sentimenti dei singoli individui attraverso il racconto di storie modeste e intime.

Fino al 24 Giugno 2018 quindi si avrà la possibilità di lasciarsi trascinare nella storia d’amore tra Kemal e Fusun, attraverso un percorso, ideato in collaborazione con gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera, che presenta soluzioni interattive e un’audio-guida personalizzata per la mostra scaricabile gratuitamente dal telefono.

 

La nostra mostra online per un archivio di archivi di architetti: il CASVA di Milano

http://www.milanocittàimmaginata.it/video

Dal 16 Ottobre per 6 mesi, sarà on-line la mostra: Milanocittàimmaginata.it – 10 progetti dagli archivi CASVA. Il CASVA, Centro di Alti Studi sulle Arti Visive, accoglie una ricchissima collezione di documenti appartenenti alla cultura della progettazione, del design e della grafica provenienti dagli archivi di architetti e designer milanesi. E’ un piccolo tesoro milanese, poco conosciuto, ma che racchiude grandi tesori per ricostruire la storia della progettazione milanese.

Il progetto della mostra on-line, di cui soluzionimuseali-ims è coproduttore insieme al CASVA, vuole portare a conoscenza di un ampio pubblico l’esistenza del CASVA e dei suoi archivi, e dimostrare che i documenti d’archivio relativi a progetti urbanistici ed architettonici possono raccontare storie interessanti anche ad un pubblico non specialistico.

Il percorso museologico – lo sviluppo narrativo della mostra online – permette l’esplorazione personalizzata dei contenuti da più punti di approccio e un approfondimento multilivello in un ambiente, e con un linguaggio, fresco, veloce e piacevole.

Il processo di visita è pensato per attirare il “visitatore potenziale” fin dalla visione dei manifesti della mostra affissi per la città, fornendogli l’accesso attraverso QRCode e video animato.