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Street Art nei musei

AUTORE
M. Cristina Vannini
M. Cristina Vannini
PUBBLICATO IL
31/03/2019
A visual protest the art of banksy

Anche i meno attenti fra i nostri concittadini milanesi sapranno che fino al 12 aprile si é svolta presso il Mudec-Museo delle Culture la mostra “Banksy – A visual protest”, l’ultima in una serie di grandi mostre internazionali che stanno portando la street art all’interno dei musei.
In molti avranno infatti notato i manifesti pubblicitari raffiguranti il famigerato “Lanciatore di fiori” che il Mudec ha diffuso per strade e metropolitana. Proprio questa campagna pubblicitaria è stata recentemente al centro di un contenzioso perché Pest Control Office Limited, la società che si occupa di gestire il brand Banksy, ha citato in giudizio 24 Ore Cultura per violazione di Copyright e vendita non autorizzata di merchandising.

Non è questo un evento eccezionale: non è infatti la prima volta che Banksy fa cause a mostre non autorizzate come quella del Mudec. Sul suo stesso sito è presente una sezione in cui sono elencate tutte le mostre “FAKE”, realizzate senza il coinvolgimento – e il permesso – dell’artista.

Diverse persone hanno fatto notare l’incongruenza, da parte di un’artista da sempre contro il copyright, dell’utilizzo di questo stesso sistema per monitorare la diffusione delle sue opere.

E lo stesso Banksy è consapevole di questo aspetto: in una chat privata, successivamente pubblicata su Instagram, commenta di non essere la persona adatta a lamentarsi di chi utilizza immagini senza chiedere permesso (“not sure i’m the best person to complain about people putting up pictures without getting permission”).

Non è difficile immaginare come queste azioni legali abbiano soprattutto l’obiettivo di segnalare la distanza dell’artista da queste mostre piuttosto che ottenere vere limitazioni o chiusure. Come molte delle azioni di Banksy, il loro aspetto simbolico e sensazionalistico è da prendere in considerazione tanto quanto i loro contenuti ed effetti.
Sorgono dei quesiti ovvi a seguito di questo episodio: chi abbia diritto ad utilizzare le immagini, o la congruenza delle azioni di Banksy. Ma la posizione ideologica che ha spinto Banksy a rifiutare la commercializzazione della sua arte è facilmente ricollegabile alle radici più profonde della street art. E la questione che vogliamo porre anche a voi riguarda proprio il rapporto fra arte di strada, musei e mondo dell’arte in generale.

Caratteristica principale della street art è infatti primariamente la sua collocazione, in alcuni casi più caratterizzante, per l’interpretazione dell’opera, dei contenuti stessi. La scelta della collocazione avviene sia per ragioni di opportunità che per ragioni ideologiche: la street art prende infatti spesso una posizione volutamente anti-istituzionale, a cui si unisce l’aspetto egalitario dato dal trovarsi sulla strada, in una posizione accessibile a tutti e nei luoghi più lontani dal potere.

La street art è quindi un’arte senza proprietari, senza curatela e senza conservazione. Ma soprattutto un’arte senza committenti, e un’arte – di fatto – illegale.

Dato questo, sorgono dubbi rispetto al posto che l’arte di strada può avere all’interno dei musei. È possibile per la street art trovare uno spazio in questi contesti, o così facendo perde completamente di significato? La sua collocazione – e la sua posizione anti istituzionale – sono imprescindibili, o si può negoziare una via di mezzo?

Il rapporto fra street art e musei non è una novità. Arte di strada e graffiti art hanno trovato uno spazio all’interno dell’arte contemporanea, anche soltanto attraverso la commistione di tecniche e linguaggi (basti pensare ad artisti come Keith Hering).  E in diverse occasioni artisti di strada hanno collaborato con musei e altre istituzioni.

Street Art Tate Modern

Fra gli esempi più recenti il più importante è forse la mostra “Street Art” che si è svolta presso la Tate Modern di Londra nel 2008, in occasione della quale ai diversi artisti coinvolti è stato chiesto di realizzare opere sulla facciata esterna del museo – già una forma di compromesso fra l’arte di strada e le istituzioni museali.

Faile, fra gli artisti coinvolti nell’esposizione, rispetto a questo nuovo rapporto fra arte e musei aveva dichiarato che “At least it’s no longer undermined as something on the street, something without value. Money fuels interest (…)” Per molti artisti il rapporto con i musei, e una validazione da parte del mondo dell’arte, è infatti strettamente collegato con il rapporto con gallerie, collezionisti e quindi con il denaro. Questo è un altro degli aspetti che rende complicati, e apparentemente irriconciliabili, i rapporti fra questi due mondi. Come molti altri artisti, lo stesso Banksy ha negoziato il suo rapporto con il mercato dell’arte, vendendo le sue opere solo in aste i cui ricavi vadano in beneficenza – o per 60$ a Central Park, nel corso di un’altra azione ad effetto. Ben Eine, street artist connazionale di Banksy, si identifica invece pubblicamente come un “working street artist” che accompagna, ai lavori fatti per strada, lavori nello “stile dello street art” che vengono venduti in gallerie e grazie a cui ricava fondi per finanziare i lavori fatti in strada.

Ma l’ingresso della street art nei sistemi convenzionali – e istituzionali- di diffusione dell’arte sembra in ogni caso inevitabile: i tentativi di Banksy – pratici o simbolici- di estraniarsi da questo sistema fanno poco per fermare il fiume in piena che è il Banksy effect – lo pseudonimo di un artista anonimo e controcorrente è anche un brand che vale milioni di dollari.

Mr Save the wall Street Art is Dead

Non mancano però grida alla “morte della street art”.  Lo street artist italiano Mr. Savethewall ha lavorato sui manifesti della mostra del Mudec aggiungendo una riproduzione di “Davide con la testa di Golia”  di Caravaggio (in cui Golia indossa la maschera da scimmia di Banksy) accompagnato alla scritta “street art without street is just “art”!”

Va però preso in considerazione il terzo elemento in questa dinamica museo-artisti: il pubblico. La street art nei musei può essere un momento di validazione per l’artista, o qualcosa che avviene suo malgrado. Ma una nuova collocazione cambia fondamentalmente le modalità con cui il pubblico si relaziona all’arte.

Abbiamo già detto come la vicinanza al pubblico e l’assenza di una distanza – sia fisica che psicologica – siano fra gli elementi essenziali della street art. Trovandosi nel luogo pubblico per eccellenza è capace di avvicinarsi a chiunque, senza filtri, raggiungendo anche coloro che non cercherebbero intenzionalmente l’arte e comunicando con un pubblico estremamente più ampio di quello che frequenta i musei.

Portare la street art nei musei crea inevitabilmente un filtro, che anche in assenza di una bigliettazione è comunque costituito dal senso di intimidazione che i musei possono suscitare su chi non è abituato a frequentarli.


Sembra difficile escludere completamente la street art, così pervasiva e rilevante nel panorama contemporaneo, dal mondo che i musei dovrebbero studiare e raccontare.  E l’appeal della street art è qualcosa che molti musei hanno usato per cercare di attirare nuovo audience: è indubbio che la street art venga esposta per avvicinare nuovo pubblico ai musei, grazie anche alla sua forte capacità di parlare alla gente. Il risultato è il grande pubblico che si avvicina a queste esposizioni. Resta però da chiedersi chi sia veramente questo pubblico: si mantiene la democratizzazione tipica della street art?

Il rapporto fra musei e street art può essere visto come una questione di compromessi e ideologie irriconciliabili, o come una sfida i cui obiettivi sono trovare modalità innovative per conciliare l’arte dentro i musei e quella sulla strada. E per l’artista rimane la scelta fra essere completamente “libero” o realizzare delle opere diverse, collaborazioni ragionate o più meditative.

Piuttosto che semplicemente avvicinarsi alla street art riproponendola in una dimensione che, anche nei migliori tentativi, la sterilizza da parte del suo apporto creativo più caratteristico, una strada diversa per i musei potrebbe essere cercare di coglierne lo spirito. La street art infatti può insegnare molto sulla trasgressione, l’impegno politico e la condivisione dello spazio artistico con il pubblico.

I musei a loro volta potrebbero quindi riflettere su questo aspetto, non solo per rispettare gli scopi e le origini della street art, ma anche per capire come meglio comunicarla ai loro visitatori.