De-Patrimonializzare i Beni Culturali? Quali? Come? Perché?
04/02/2025
Editoriale

Ho partecipato giovedì pomeriggio a un tavolo di NextGen Heritage sul tema della De-Patrimonializzazione in ottica pubblico-privato.
Non mi perderò in ringraziamenti e in descrizioni dell’evento e delle sedi veneziane in cui l’Università di Ca’ Foscari ci ha ospitato. Cercherò di entrare subito nel vivo del tema. Almeno dal mio punto di vista di ex-archeologa, museologa, consulente culturale.
Il tema è spinoso, com’è emerso durante il nostro incontro: tot capita, tot sententiae e mai come quando si tratta di Cultura e danari. Perché è questo il punto: de-patrimonializzare in realtà sembra essere stato inteso come “dare un valore economico a qualcosa di cui ci si vuole alienare”. Quale valore, quindi? A seconda della serialità? Più ce ne sono meno valgono, come vorrebbe la regola aurea della domanda e dell’offerta? Oppure, più ce ne sono, più costano perché sono comunque Beni che fino a oggi non potevano essere venduti tanto facilmente?
Se parliamo dei Beni archeologici, o demoetnoantropologici, o industriali, la serialità (e la riproducibilità, quindi lo stesso discorso può essere fatto anche per le fotografie) ha comunque un valore intrinseco: ci dice della diffusione dell’oggetto, del suo uso, a volte della rifunzionalizzazione, sicuramente dei viaggi e degli scambi che ha vissuto. Tutto ciò ha un valore che travalica il valore economico dell’oggetto in sé. Ugualmente se parliamo di Beni ecclesiastici ma diversamente se si tratta di Beni artistici quali le pitture e i disegni (meno le sculture che potrebbero anch’esse essere seriali e riproduzioni in dimensioni e materiali differenti). Sulle pitture e i disegni, spesso creazioni uniche – ma sappiamo che copie e cartoni permettevano nei secoli che gli artisti replicassero le loro opere aggiungendo o togliendo ciò che al tale committente dispiaceva o, invece, aggradava – si può limitare la patrimonializzazione culturale alle opere dei Maggiori? alle opere prime?
Mah.
Probabilmente il tema è malposto e non incolpo i validi organizzatori e curatori dell’evento, quanto la nostra società che non è più capace di capire il valore delle cose al di là di quello economico.
La perdita di valori che la nostra società, ma in genere la società occidentale, sta attraversando (sperando che ne trovi un’uscita come in ogni traversata) ci costringe a dare un valore a tutto, perdendo il concetto di Bene Culturale come Bene Comune.
Il Bene Comune è proprietà di tutti e tutti possono avere la titolarità di esserne custodi o gestori. Il Bene Comune non ha valore economico perché non ci sarebbe cifra adeguata ad acquistarlo. Il Bene Comune fornisce una serie di totem a ogni territorio, o a ogni comunità – concetto che sta iniziando a infastidire, sembra – o, comunque, a chiunque senta che un certo Bene lo rappresenta. E oltre alla rappresentazione, il totem deve provvedere alla protezione e alla salvaguardia del proprio clan. E così siamo arrivati al capovolgimento del problema: non de-patrimonializzare, ma permettere a tutti coloro che vogliono assumersi la responsabilità di farsi rappresentare dal proprio totem, di poter godere anche economicamente della sua protezione: un albergo che voglia esporre anfore, una comunità che voglia manutenere un sito archeologico, un’associazione che si impegni a valorizzare un complesso monastico….o anche una sola opera.
Apriamo quindi le porte dei depositi, di qualsiasi tipo di museo e soprintendenza, alla fuoriuscita dei Beni Comuni. Non cambia il proprietario: tutto resta in capo allo Stato; non ne cambia la finalità: il diritto inalienabile dei cittadini (cit. S. Rodotà); non ci sarebbe alcuna transazione sul Bene ma per mezzo, grazie al Bene. E forse, i cittadini quelli di nascita e quelli di domicilio, soprattutto questi che spesso si sentono ai margini di tutto e scarsamente riconosciuti, imparerebbero a conoscere il Valore, l’energia che il loro totem può richiamare a prescindere dal suo intrinseco valore economico e dall’evoluzione del concetto di cos’è Cultura che prima o poi si dovrà ricominciare a discutere.