INDIETRO

La censura dell’arte nel XXI secolo

Parliamo di censura dell’arte nel XXI secolo quando la linea che distingue un contenuto pornografico da uno artistico è in mano a un algoritmo.

AUTORE
M. Cristina Vannini
M. Cristina Vannini
PUBBLICATO IL
30/09/2019

Dopo gli scandali emersi dai dati di Cambridge Analytica, i social network, specie Instagram e Facebook, hanno introdotto nuovi algoritmi per salvaguardare le piattaforme e la privacy degli utenti. Tra questi è stato generato un algoritmo che consente la censura e il blocco di immagini che mostrano nudità in modo da non consentire la condivisione di contenuti pornografici.

LO SCANDALO DI CAMBRIDGE ANALYTICA E FACEBOOK

Cambridge Analytica è una società vicina alla destra statunitense che raccoglie i profili psicologici degli utenti per creare campagne di marketing mirate. Lo scandalo risale a qualche anno fa, quando venne creata da un ricercatore dell’Università di Cambridg, Aleksandr Kogan, una app di nome thisisyourdigitallife dove per utilizzarla bisognava collegarsi con il proprio account Facebook. Kogan è così riuscito a costruire un enorme archivio con i dati di ogni singolo utente ed ha condiviso queste informazioni con Cambridge Analytica violando i termini d’uso di Facebook. Il Guardian e il New York Times sostennero che Facebook fosse comunque al corrente di tutto e che le condizioni d’uso di Facebook fossero “fallate”. Ulteriori problemi sono poi nati quando Cambridge Analytica  sfruttò i dati personali degli utenti di Facebook per fare propaganda politica di diverse campagne elettorali, tra queste l’elezione di Trump.

Ma la nudità non sempre è sinonimo di volgarità; essa infatti viene spesso raffigurata nell’arte e riflette le norme sociali, estetiche e morali, del tempo e del luogo in cui è stato eseguita l’opera. Questo perché l’uomo è sempre stato attratto da sé stesso e dal sogno di riuscire a comprendere gli aspetti che lo riguarda, tra cui l’attrazione per l’immagine di sé.

Di questo i social network ne sono consapevoli e infatti nel momento in cui sono entrate in vigore le nuove norme della community, si erano pronunciati a riguardo così:

Sappiamo che immagini di nudo possono essere condivise per diversi motivi, come forma di protesta, per sensibilizzare su una causa e a scopo educativo o medico. Qualora tali immagini siano chiari, facciamo concessi sul contenuto. Ad esempio, se da una parte limitiamo alcune immagini di seni femminili in cui i capezzoli sono visibili, possiamo consentire altre immagini, tra cui quelle che ritraggono atti di protesta, donne che allattano e foto di cicatrici causate da una mastectomia. È permesso anche la pubblicazione di fotografie di dipinti, sculture o altre forme d’arte che ritraggono figure nude.

Ma questo nuovo algoritmo è davvero così efficace?

A quanto pare l’intelligenza artificiale si è dimostrata diverse volte non in grado di distinguere un contenuto pornografico da un contenuto artistico.

L’algoritmo ha infatti censurato diversi post de la Venere di Willendorf, la Discesa dalla croce e la foto che è diventata simbolo della Guerra del Vietnam di Nick Ut.

Casi più recenti riguardano il blocco del video promozionale della mostra di Natalia Goncharova, pittrice del Novecento, che ironicamente all’epoca fu accusata e processata per offesa della pubblica morale e pornografia.

LA MOSTRA DI NATALIA GONCHAROVA

“Natalia Goncharova. Una donna e le avanguardie tra Gauguin, Matisse e Picasso”
Le sue opere saranno esposte a Palazzo Strozzi dal 28 settembre al 12 gennaio.

Il direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi ha risposto:

Si può dire che, dopo oltre un secolo, l’opera di Natalia riesce ancora a scandalizzare come aveva fatto ai suoi tempi […] Sui social media vediamo costantemente immagini o video di nudo ma in questo caso viene bloccata l’immagine di un dipinto che appartiene alla storia dell’arte moderna.
Si innesca così inevitabilmente una domanda: può un algoritmo determinare un principio di censura all’interno di uno dei principali mezzi di comunicazione e informazione del mondo?

La censura è arrivata infine anche alle opere di Antonio Canova: il profilo del museocanova nell’ultimo mese si è mossa creando una campagna contro la censura d’immagini di opere d’arte lanciando anche un hashtag #freeantoniocanova, chiedendo ai follower e agli amanti d’arte di condividere le immagini di alcune opere di Canova contenenti nudità.

In questi giorni anche il critico d’arte e presidente dalla Fondazione Canova onlus, Vittorio Sgarbi, ha preso la decisione di fare causa a Facebook e Instagram per queste continue censure alle opere d’arte.

Ma già nel 2018 vi furono delle proteste: sui muri della città di Milano erano state affisse foto di capezzoli di ogni tipo affiancati dall’hashtag #freenipples. Una delle giovani donne dietro a questa iniziativa afferma:

Mi sono scontrata con la censura perché sono una fotografa e ultimamente scatto molti nudi, quindi sento il tema particolarmente vicino.

Per concludere vi lasciamo a un video arrivato dal Belgio che risponde in modo molto divertente a questo nuovo algoritmo dei social network:

Social media doesn't want you to see Rubens' paintings