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Perdersi al museo: un’occasione perduta?

Perdersi al museo soluzionimuseali
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Redazione
Redazione
PUBBLICATO IL

26/02/2025

TIPOLOGIA

Editoriale

Sono molti i contenuti social che sublimano la sensazione di perdersi in un museo, esaltando l’esperienza di visita con un tocco di trasognata evasione. Altrettanto numerose, però, sono le voci di quanti si oppongono tenacemente ad una simile pratica, invocando la necessità che i musei siano luoghi di “assoluta contingenza” (come dice Noemi Tarantini del canale Etantebellecose), capaci di disporre ad un colloquio più consapevole con il presente. 

Pur riconoscendo la pertinenza di quest’ultimo richiamo, è davvero corretto respingere tout court la ricerca di un senso di smarrimento? Perché non tentare piuttosto di riabilitarne il senso, così che non confligga con la fondamentale responsabilità civile degli spazi culturali?

Perdersi in un museo, infatti, non significa necessariamente accedere a una dimensione di fantasticheria. Ben diversamente, crediamo che l’esperienza della perdita sia parte integrante di un autentico processo conoscitivo: lo smarrimento dei propri preconcetti, il crollo dei riferimenti sedimentati in valori inoppugnabili, la disponibilità stupita verso il senso che il luogo di visita istituisce ogni volta differentemente.

Un percorso allestitivo non rigidamente tracciato permetterebbe al visitatore di ricordare che alla fruizione organizzata e preordinata delle cose può sempre opporsi un contegno più docile e meno calcolante. In altri termini, ogni esposizione staglia l’occasione per interrogarsi sull’idea stessa di “percorso” – una voce che sa in parte di passato, indicando un tragitto che già è stato battuto.

Da anni, per esempio, il British Museum di Londra adotta un approccio sintatticamente lineare per le mostre temporanee e uno stile meno coordinato per le proprie collezioni permanenti, disseminando in ogni sala un’opera-portale (gateway object) che inviti l’osservatore a sostare, smarrendo l’urgenza di una “marcia forzata” per inoltrarsi in una conversazione più intima.

Se dunque riconosciamo che la linearità non è un elemento indispensabile affinché una collezione possa raccontarsi, un quesito sorge comunque spontaneo: che dire di quanti potrebbero provare frustrazione e spaesamento a causa di una mancanza di indicazioni puntuali? 

È innegabile che occorra riconoscere il diritto per tutti ad una traccia di base - attraverso pannelli, ad esempio, mappe cartacee o sale numerate. Perché ammettere un’unica soluzione, tuttavia, quando il museo è innanzitutto uno spazio sociale nel quale addetti, custodi e altri compagni di visita potrebbero contribuire insieme alla ricerca di un significato condiviso?

Insomma: concedere a tutti la possibilità di orientarsi secondo la propria sensibilità potrebbe innescare un’intesa meno solitaria delle istituzioni culturali, nonché avvincere la creatività di curatori e organizzatori affinché esperienze distinte possano coesistere. 

Smarrirsi in un museo potrebbe davvero preparare ad incontri inattesi, in cui siano le opere stesse a trovarci - non noi a reclamarle in un certo istante. Come scriveva H. Hesse, “Cercare significa: avere uno scopo. Ma trovare significa: esser libero, restare aperto, non avere scopo”.

Ecco alcuni accorgimenti pratici per permettere al visitatore di perdersi senza confondersi:

  • Supportare la permanenza degli ospiti – e non accelerarne il transito! Da sempre SOLUZIONIMUSEALI insiste sulla necessità di predisporre guardaroba, aree ristoro e poltroncine in ogni sala (non soltanto di fronte alle opere gerarchicamente “prioritarie”), capaci di rendere l’esperienza complessivamente più confortevole;
  • Prevedere, accanto ai tradizionali pannelli, supporti interattivi gratuiti di approfondimento e ricerca, a disposizione di quanti desiderino soffermarsi ulteriormente sulle opere esposte. Strumenti come questi si proporrebbero di integrare il riferimento umano del personale di sala – che da semplice custode dell’ordine potrebbe dialogare con i visitatori e vincere qualsiasi senso di soggezione;
  • Privilegiare sale spaziose a una sequenza interminabile di stanze anguste e strette o ridurre il numero delle opere esposte in ogni sala. Sfruttare, inoltre, porte e accessi distinti: mentre una successione di varchi potrebbe costellare il percorso centrale, gli ingressi ulteriori potrebbero essere dedicati a quanti desiderino muoversi con maggiore libertà;
  • Nel caso di ville storiche o case museo, dove un intervento sui vani non sarebbe praticabile, assecondare il desiderio di sosta autentica riducendo al minimo l’impiego di corde barriera, tappeti a copertura dei pavimenti originali e audioguide troppo scandite in senso cronometrico. Insomma: rimuovere ingegnosamente ogni elemento che susciti negli ospiti un’impressione di fugace intrusione;
  • Da ultimo, modulare e uniformare le fonti luminose presenti in ogni spazio, preferendo quelle di tipo naturale – così da evitare che il contrasto tra il bagliore sulle opere e un’atmosfera complessivamente buia disturbi la contemplazione, impendendo oltretutto ai visitatori di leggere o scorgersi distintamente. 

                                                                                                                                                                         Giorgio Santinelli