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Cosa (non) fare quando si progetta una mostra

Soluzionimuseali mostra balenciaga palazzo morando
AUTORE
Redazione
Redazione
PUBBLICATO IL

12/03/2025

TIPOLOGIA

Editoriale

Da anni oramai, vi stiamo proponendo riflessioni e spunti su come affrontare il duro lavoro di chi si occupa di musei e di cultura. 

Molto spesso abbiamo proposto piccoli suggerimenti su come si può fare qualcosa: ne trovate tanti nella sezione insights del nostro sito web. 

Oggi, vogliamo presentarvi invece delle considerazioni su come non si dovrebbero fare le cose in un museo. Lo spunto è stato la visita alla mostra Balenciaga. Shoes from Spain Tribute organizzata dalla Camera di Commercio spagnola in occasione della Settimana della Moda a Milano. 

Con i colleghi abbiamo fatto uno study tour dal quale tutti, a prescindere dall’età, dall’esperienza, dalla professionalità, siamo usciti molto basiti. 

Pur essendo naturalmente a favore del concetto di cultura che cura, a fronte di studi e articoli che oramai, anche in Italia, inneggiano al potere della cultura e, nello specifico delle visite di mostre e musei, sul benessere dei visitatori (l’ultimo il bell’articolo di Emma Sedini su Artribune https://www.artribune.com/arti-visive/2025/03/musei-benessere-arte-combatte-stress/)  – ci chiediamo però quando, dove, come? 

Un conto sono i progetti che guidano i partecipanti alla fruizione benefica ma un altro discorso riguarda la fruizione libera dei percorsi museali e delle mostre. Siamo sicuri che siano davvero pensati, ideati, strutturati anche per il benessere dei visitatori, oltre che per l’ego dei curatori o degli architetti? 

Qui di seguito riportiamo i pensieri di un nostro giovane stagista bocconiano e della nostra art director, architetta di lungo corso. Due estremi, per età ed esperienza, che si incontrano nelle perplessità che questa mostra – come tante altre – ci ha lasciato. 

Il commento di Giorgio

…You may not be able to envision yourself lounging on Napoleon’s throne, but there is something about couture that is, perhaps surprisingly, accessible. Everyone – even, despite rumours to the contrary, the emperor – wears clothes

Così si conclude l’articolo Of muses, museums and money uscito a fine febbraio tra le pagine del The Economist. Sono parole che ben esprimono la lingua personale con la quale l’abbigliamento è in grado di risuonare nella nostra persona, in un reciproco scambio di creatività e individuazione. 
Come rendere conto di una scoperta tanto vivace all’interno di un’esposizione, evitando che l’esclusività di certe collezioni si traduca in un’esperienza di esclusione? Come far sì che abiti di inestimabile fattura non siano resi a tal punto intangibili da inibire una sincera contemplazione? 

La mostra Balenciaga. Shoes from Spain Tribute, da poco conclusasi a Palazzo Morando, a Milano, pare aver divaricato i punti più problematici delle domande appena enunciate. La sovrabbondanza di opere in uno spazio tanto limitato quasi conduce il visitatore nei recessi più angusti del tormento artistico – una fatica che non si conclude, però, con lo stupore al cospetto della creazione ultimata. Suppongo ciò accada perché nulla viene davvero alla luce, ma anzi si incupisce: dopo l’incipit sulle gradinate di un’arena immaginaria, infatti, il percorso discende lungo un corridoio nero che smentisce l’entusiasmo, immergendo l’osservatore in una spiacevole apnea, proprio quando così tante manifestazioni di cura dovrebbero tremare di soffio vitale!

È forse il sentimento, la gioia che invita a sostare, a essere inaspettatamente carente: l’angustia dell’ambiente e la velatura di certi esemplari, aggravata da una congestione di visitatori che si sarebbe potuta controllare, non predispone a una degna ammirazione delle bellezze riunite, né all’apprezzamento della continuità con le pregevoli calzature a loro affiancate. Insomma: a dispetto del titolo, non sembra possibile corrispondere nessun tributo – se con questo termine intendiamo il riconoscimento comune, tribale, di un’autorità maestra. Quale ruolo avranno avuto i curatori, se così poca accortezza è stata rivolta a favorire una migliore comprensione di Balenciaga? Si può essere interpreti, ancorché finissimi, facendo così poco da mediatori?

Non basta che qualcosa sia messo in mostra affinché sia autenticamente evocato; da giovane visitatore inesperto, ho potuto riconoscere solo a posteriori ciò che l’evento avrebbe potuto celebrare in senso più memorabile – l’amicizia con la marchesa María Sonsoles de Icaza y de León; il passato spagnolo della città di Milano; la filosofia della misura che Balenciaga riconosceva appartenere al buon couturier. Mi è del tutto sfuggito, peraltro, il senso della giocosità di accostamenti e prospettive, piegato alla produzione di un ambiente troppo tiepido e altero, ma altamente picture-perfect

Ripenso una volta ancora all’articolo che ha aperto la mia riflessione, dove il curatore dell’esposizione LOUVRE COUTURE. Art and Fashion: Statement Piece sottolinea come l’evento stia permettendo ai visitatori di riscoprire spazi del museo che ancora non conoscevano. Potremmo dire lo stesso a proposito della visita a Palazzo Morando? La mia impressione è che ciò si sia avverato solo per l’unico abito esposto al piano superiore, nella cornice del salottino dorato. Abbandonata l’austerità artificiale delle sezioni precedenti, in questo piccolo scrigno non c’è bisogno di costruire un allestimento ad hoc per cogliere un sentore di eternità: è sufficiente assistere all’interazione tra il cappotto e i tendaggi; accompagnare lo sguardo dalle paillettes al brillante pavimento affrescato, fino ad avere una prova di come il cielo possa essere incontrato in terra.  

Un esempio magnifico di come opera e mondo circostante si nutrano della reciproca presenza; così affascinante da lasciare l’amaro in bocca, immaginando quanto altro la mostra avrebbe potuto tentare.

Giorgio S.

Il commento di Camilla

Allestimento, collezione, esposizione, galleria, mostra, museo, raccolta…

Parole che possono avere significati diversi ma anche essere strettamente correlate. 

Per “Museo” si intendeva, o almeno io lo intendevo, luogo di raccolta, di conservazione, di studio di oggetti, opere e artefatti. Ma anche e forse di più, luogo dove allestire esposizioni e mostre per consentire a visitatori e studiosi di conoscere, capire, approfondire, incuriosire… criticare! 

Da tante mostre, da tanti musei, sono uscita contenta o elettrizzata, incantata ma anche respirando meglio e, comunque… cresciuta!

Certo, la qualità di quanto esposto è fondamentale ma penso che la modalità di esporre lo sia altrettanto.

Allora mi chiedo: perché da un po’ di tempo in qua mi capita di uscire da mostre, le più diverse tra loro, sempre e comunque con lo stesso fastidio? Perché non cresco più?

Perché, se va bene, ho l’impressione di poter guardare solo una successione di artefatti? 

La suggestione del buio che impera in molte mostre? L’illeggibilità delle didascalie? Il vuoto dell’informazione o, spesso, un allestimento che spesso prevalica quanto esposto e talvolta il luogo stesso dell’esposizione? Percorsi inesistenti e pasticciati? Il numero a volte davvero troppo alto di persone presenti nello stesso luogo magari un po’ angusto e buio? Ormai abbiamo iperturismo anche qui?

Non lo so ma forse qualche domanda bisogna iniziare a farsela. In modo che si possa iniziare a trovare risposte.

Camilla M.