Ma anche basta!
Musei realizzati da designer e architetti che consapevolmente o no snobbano i precetti dei museum studies e le tematiche dell’accessibilità.
È già difficile sopportare una mostra che non rispetti i principi espositivi che gli studi museali hanno così faticato a enucleare, ma quando si tratta di un museo e di un museo che è stato atteso per più di 50 anni e che è costato ben più di 10 milioni, allora credo che non si possa tacere sulle criticità evidenti della sua realizzazione.
Palazzo Citterio, l’annessione che mancava (?) a Brera per diventare “Grande” è stato finalmente aperto. Dopo 52 anni, però, forse, si poteva attendere ancora qualche mese e spendere ancora un po’ di soldi per renderlo adeguato ai requisiti museali.
Infatti, ad oggi, l’edificio e il suo design interno – mi rifiuto di chiamarlo allestimento, in rispetto a tutti quegli architetti che i museologi li stanno ad ascoltare – è un bellissimo spazio, esteticamente gratificante e suggestivo; affine all’impostazione di Palazzo Rovati, ma dallo stesso architetto che cosa si pretende? Che modifichi il suo “segno” per valorizzare le collezioni e la loro narrazione? Che sacrifichi il proprio ego alla didascalica esplicitazione delle chiavi di lettura e di comprensione da parte dei visitatori?
Mi chiedo dove fossero il Direttore e la ViceDirettrice quando sono stati presentati i rendering o almeno i layout dell’allestimento (e va bene, mi tocca usare questo termine per velocità e chiarezza). Dov’erano quando è stato proposto – ancora una volta – di mettere scritte chiare sul vetro o una segnaletica inesistente o – apoteosi – i pannelli di sala di dimensioni lillipuziane senza il supporto di una lente di ingrandimento? E il provincialismo di questi pannelli che riportano la traduzione in inglese ancora più illeggibile? Non so con che coraggio il New York Times abbia consigliato la visita al Palazzo. Forse spera che nel frattempo vengano apportati i necessari aggiustamenti… o forse, più semplicemente, Brera – ah sì sbaglio, la GoB ovvero la Grande Brera con in mezzo l’ottagono d’ottanio (peraltro colore davvero banalizzato negli ultimi anni) – ha un ottimo ufficio stampa con molti agganci internazionali. Almeno una cosa buona!
È davvero deprimente lavorare tutti i giorni per promuovere il ruolo e il valore dei musei e poi ritrovarsi con un’occasione persa di queste dimensioni! E chiaramente non parlo dei contenuti, delle collezioni. Mi attengo al mio ruolo di museologa: parlo della comprensione e della fruizione. E’ chiaro che dopo 52 anni, l’élite culturale milanese o ciò che è rimasto di essa e i flâneurs e gli appassionati siano corsi a visitare Palazzo Citterio: perdersi – letteralmente – a partire dalla sala 40 in poi, interrogarsi sul perché di una stanza libreria semi buia, semi vuota, tanto bella ma….a morire dal caldo perché non c’è un guardaroba e il riscaldamento è altissimo, a non riuscire a leggere i pannelli e le didascalie, a non avere nessuno strumento di supporto per chi ne avesse necessità (alcuni pannelli sono inclinati al punto che una persona in carrozzina proprio non riuscirebbe a vederli, tanto meno a leggerli; alcune didascalie riportano la numerazione di decine di oggetti dalla dimensione di uno spillo), a non capire perché in alcune sale ci sono due livelli sovrapposti di decorazioni sulle pareti: perché sono state lasciate? A che periodi appartengono? Che funzione avevano quelle stanze? Parliamo così tanto, noi museologi, di multistratificazione dei racconti che un museo può fornire ai visitatori, interessandoli, immergendoli, facendoli interessare al luogo e alla sua ricchezza… qui abbiamo soltanto il livello ostentativo e ostensivo. E le poche Louis XIV – che per i non esperti che non sono benvenuti a Palazzo Citterio sono le inflazionate sedie di plastica che Philippe Stark ha disegnato per Kartell – non servono per far accomodare i visitatori, no, per quello ci sono due poltroncine in un cantuccio buio e una – dico una – fila di sedie da giardino davanti a “La Fiumana”. Se il visitatore si vuole riposare si deve accomodare al freddo nel tempietto di legno in cortile. O sedersi sulle scale.
No. Non ce la possiamo fare. Non ce la vogliamo fare. E allora mi dico: ma vale ancora continuare a parlare di accessibilità e di requisiti museali?